Recente acquisizione del Museo Nazionale Storico degli Alpini del Dos Trento è l’interessante cannone da montagna da 75 mm in bronzo, nato con la denominazione ufficiale di cannone da 7 Br. Ret. Montagna e poi ribattezzato cannone da 75B Montagna nella nuova nomenclatura dell’artiglieria italiana adottata all’inizio del XX secolo.
Questo pezzo da montagna lega strettamente la sua storia a quello della specialità dell’artiglieria da montagna, costituita ufficialmente come specialità autonoma pochi mesi prima della sua adozione, e ne caratterizza i primi 20 anni circa di vita, fino alla sua sostituzione ai primi del ‘900 con il cannone da 70A, o 70/15 nella nuova nomenclatura.
L’esistenza nei ranghi dell’artiglieria sabauda di cannoni e obici adatti alla scomposizione e al someggio è documentata a partire da 1827, anno in cui vennero adottati un cannone da 4 libbre e un obice da 16 libbre; il materiale da montagna era assegnato ai Reggimenti di Artiglieria da Piazza ed era previsto che le batterie venissero costituite in caso di bisogno traendo personale e animali dalle altre unità del Reggimento. A partire dal 1860, con la riforma dell’esercito del nuovo stato sabaudo, le batterie equipaggiate con materiale da montagna cominciarono ad acquistare una propria fisionomia: pur rimanendo inquadrate nei Reggimenti di Artiglieria da Piazza e per quanto i quadrupedi continuassero ad essere tratti dalle altre unità solo in caso di bisogno, alle batterie da montagna venne finalmente assegnato del personale in permanenza. Nel 1861 venne anche adottato un nuovo pezzo, il cannone da 5 libbre e 1/3.
Questa organizzazione, tuttavia, dimostrò il proprio limite durante la campagna di Garibaldi nelle Giudicarie, nel quadro della Terza Guerra di Indipendenza: per quanto il contributo della batteria da montagna al seguito del volontari si fosse rivelato prezioso, si palesò chiaramente lo scarso addestramento dedicato da parte di uomini e animali alla guerra in montagna. A questo stato di cose si pose rimedio con il Dispaccio ministeriale del 14 agosto 1877 con cui si ordinò il distacco delle batteria da montagna dai reggimenti da piazza, il loro concentramento a Torino e la costituzione della Brigata di Artiglieria da Montagna al comando del maggiore Pietro Lanfranco. Uomini e materiali vennero ospitati presso la caserma Foro Boario e l’organico delle batterie venne fissato in 130 artiglieri, comandati da un capitano e tre subalterni, sei pezzi di artiglieria e 55 muli; l’uniforme rimase quella dell’Arma di Artiglieria, tranne le calzature, per le quali furono adottati gli stivaletti alpini allacciati alla caviglia.
Il cannone 7 Br Ret. Montagna prodotto dall’Arsenale di Torino fu adottato nel 1881 in sostituzione del vecchio cannone da 5 libbre 1/3. Al principio, la nuova bocca da fuoco, del peso di poco meno di 100 kg con l’otturatore venne incavalcata sull’affusto di legno modello 1844 proprio del materiale precedente, appositamente modificato; solo nel 1883 esso fu sostituito da un nuovo affusto metallico a coda unica, del peso di 147 kg, ruote comprese. Come si addiceva a del materiale da montagna, che si presupponeva dovesse percorrere carrarecce molto strette ed essere messo in batteria in luoghi impervi, la carreggiata era molto ridotta, solo 71 cm; le due ruote, in legno a 12 razze con cerchiatura in metallo, avevano un diametro di 956 mm. Il peso in batteria non raggiungeva i 250 kg, che ne faceva un pezzo tutto sommato leggero e maneggevole. Essendo a retrocarica, il nuovo cannone segnava un indubbio passo avanti rispetto al precedente che era ancora ad avancarica, consentendo una celerità di tiro decisamente superiore, fino a 8 colpi al minuto; l’elevazione da + 19° a – 13°, ottenuta con migliorava sensibilmente anche la gittata che ora raggiungeva i 3.000 metri[1] con la granata e i 2.600 metri con lo shrapnel, sia nella versione a tempo sia in quella a percussione; il munizionamento prevedeva poi, come normale per l’epoca, le scatole a mitraglia per battere i bersagli più vicini, con gittata fino a 350 metri. Il 7 Br Ret. Mont. era someggiabile in tre carichi, comprendenti mulo porta-pezzo, mulo porta-affusto e mulo porta-ruote con in più una cassetta di munizioni o il cofano per gli attrezzi; altri tre muli erano destinati al trasporto delle ulteriori munizioni al seguito, in ragione di due cassette per animale. Inoltre, dopo accese discussioni circa l’opportunità o meno di adottare questa modalità, era anche adattabile al traino animale tramite l’applicazione di una timonella.
Rimasto in servizio tra il 1880 ed il 1901, quando fu sostituito dal cannone da 70A in acciaio, il 7 Br. Ret. Montagna non ebbe modo di misurarsi su campi di battaglia europei, ma attraversò tutta la prima fase dell’epopea coloniale dell’Italia sabauda in Eritrea, armando poi per parecchi anni anche le batterie da montagna coloniali, servite da artiglieri italiani ed eritrei. I primi pezzi da montagna sbarcarono a Massaua nel 1887, facenti parte del corpo di spedizione del generale Asinari di San Marzano inviato in Africa all’indomani della grave sconfitta nello scontro di Dogali: si trattava di 18 pezzi suddivisi in tre batterie al comando dei capitani Clemente Henry, Carlo Michelini e Camillo Galliano. In questo frangente i pezzi non ebbero occasione di fare fuoco, in quanto non si addivenne al temuto scontro con l’esercito imperiale del Negus Giovanni e quindi dopo una breve permanenza sul suolo africano due delle tre batterie vennero rimpatriate; rimase in Eritrea la batteria del capitano Michelini. Poco dopo, tuttavia, si procedette alla costituzione della prima batteria da montagna indigena, nata ufficialmente il 3 ottobre 1888 per trasformazione di una delle compagnie cannonieri nazionali, nella quale il personale italiano fu poco a poco sostituito da personale eritreo, sudanese e yemenita. Essa fu equipaggiata con sei pezzi da 7 Br Ret montagna, divisi in tre sezioni con una propria colonna munizioni, in modo che ciascuna di esse potesse agire in autonomia; a regime, l’organico fu stabilito in 5 ufficiali, 170 uomini di truppa, di cui 23 nazionali e 147 indigeni, 98 muli. A comandarla fu chiamato il capitano Federico Ciccodicola. Terminato l’addestramento nel maggio 1889 essa assunse la denominazione di 2a Batteria da montagna indigeni[2]. L’anno successivo con due sezioni delle esistenti batterie se ne costituì una terza, con personale misto, che divenne integralmente indigena attraverso la progressiva sostituzione del personale nazionale; infine, la batteria Michelini venne sciolta e rimasero in Eritrea le sole batterie indigene, con la tradizionale formazione su tre sezioni. Il battesimo del fuoco delle batterie indigene, e si può ben dire del cannone da 7 Br Ret Montagna, si ebbe il 21 dicembre 1893 ad Agordat, quando il Regio Corpo Truppe d’Africa fu chiamato a respingere l’invasione di un esercito di Dervisci provenienti dal Sudan, riportando una brillante, e poco conosciuta, vittoria; una sezione prese parte successivamente alla breve campagna che portò alla presa di Cassala, cittadina sudanese da cui partivano le frequenti scorrerie dei Dervisci in Eritrea e vi rimase di presidio.
Meno fauste furono le vicende successive, legate alla sfortunata guerra con l’Abissinia, che portarono alla nota grave disfatta di Adua. Nello scontro dell’Amba Alagi, nel dicembre del 1895, il battaglione eritreo del maggiore Giuseppe Toselli poteva contare su due sezioni di artiglieria da montagna indigeni, che riuscirono a tenere a bada i guerrieri etiopici fino a quando non ebbe terminato le munizioni: a quel punto la sorte del distaccamento italiano fu segnata e le sezioni da montagna andarono perdute. Alla successiva battaglia di Adua, il 1° marzo 1896, presero parte ben otto batterie e una sezione da montagna, per un totale di 44 cannoni da 7 Br Ret Montagna, tra cui la 1a Batteria indigeni, ricostruita a tempo di record, una sezione della 2a Batteria e ben sette batterie giunte dall’Italia per rinforzare le scarne forze presenti in colonia. Non è questa la sede per ricostruire le vicende della battaglia di Adua, basti ricordare che il corpo di operazioni italiano, agli ordini del generale Oreste Baratieri, mosse incontro all’esercito imperiale suddiviso in quattro brigate, la cui artiglieria era assegnata come segue:
• Brigata del generale Vittorio Dabormida, all’ala destra, batterie 5a, 6a, e 7a, totale 18 pezzi;
• Brigata del generale Giuseppe Arimondi, al centro, batterie 8a e 11a, totale 12 pezzi;
• Brigata del generale Matteo Albertone, all’ala sinistra, batterie 1a, 3a, 4a e una sezione della 2a, totale 14 pezzi;
• Brigata del generale Giuseppe Ellena, alla riserva, batterie “a tiro rapido”, totale 12 pezzi.
Nel corso della battaglia le batterie da montagna si comportarono nel migliore dei modi, ma l’andamento slegato che assunsero gli eventi non consentì uno sfruttamento ottimale delle potenzialità dell’artiglieria, spesso chiamata ad agire da posizioni inadatte ed esposte alla fucileria avversaria, e al termine della giornata la schiacciante superiorità numerica degli abissini ebbe la meglio: i pezzi andarono tutti perduti, spesso resi inservibili dai serventi perché non cadessero in mano nemica, e il 75% degli artiglieri perì.
Le ultime operazioni che videro la partecipazione del 7 Br Ret Montagna furono nell’aprile successivo, quando due sezioni da montagna indigeni presero parte alle operazioni per la liberazione di Cassala, assediata dai Dervisci, e ai primi di maggio, in occasione della liberazione di Adigrat, anch’essa assediata da due mesi da forze abissine; questi episodi posero di fatto fine alla guerra, che poi terminò ufficialmente il successivo ottobre con la firma della pace di Addis Abeba.
Come accennato in precedenza, nel 1901 il pezzo fu ridenominato cannone da 75B Montagna, e poi, a partire dal 1904, sostituito con il nuovo materiale da 70A, ad affusto rigido; fu relegato a guarnire opere fisse, in particolare in colonia, e poi definitivamente radiato qualche anno dopo.
Caratteristiche principali
Affusto |
Rigido con ruote in legno a 12 razze |
Calibro |
7,5 cm (75 mm) |
Lunghezza bocca da fuoco |
1 m |
Peso in batteria |
250 kg |
Peso bocca da fuoco |
100 gk |
Rigatura |
12 righe a passo costante |
Velocità iniziale |
255 m/s |
Munizionamento |
Granata, shrapnel, scatola a mitraglia |
Gittata massima |
3.000 m con la granata 2.600 m con lo shrapnel |
Corsa Rinculo |
Fino a 8 m |
Settore verticale di tiro |
da -10° a 20° |
Settore orizzontale di tiro |
Non presente |
Carreggiata |
710 mm |
Celerità di tiro |
8 colpi/min |
Someggio |
3 carichi |
11bis – Il Maggiore Pietro Lanfranco, primo comandante della Brigata di Artiglieria da Montagna stanziata a Torino (Museo Nazionale Storico degli Alpini Trento)
23 – La batteria da montagna del Capitano Ciccodicola ritratta dopo l’occupazione di Asmara, nel 1889
25 – Sezione di artiglieri da montagna indigena ritratta durante una pausa nella marcia, nei pressi di Adigrat
(da Storia dell’Artiglieria Italiana)
175– Il cannone da 70A Mont. o 75/15 custodito presso la caserma “Amione” di Torino, dove sono depositate le artiglierie del Museo Storico Nazionale dell’Artiglieria di Torino in pendenza dei restauri della Cittadella, dove esso ha sede (Umberto Bonora)
1 L’alzo poteva poi essere aumentato ricorrendo all’espediente di interrare leggermente la coda dell’affusto, con un sensibile aumento della gittata massima; non era invece previsto, trattandosi di un pezzo ad affusto rigido, alcun settore di tiro orizzontale.
2 1a Batteria da Montagna rimase quella del capitano Michelini.