"PER GLI ALPINI NON ESISTE L'IMPOSSIBILE"
La nuova realtà del Museo Nazionale Storico degli Alpini
Il Museo Nazionale Storico degli Alpini a Trento, completamente ristrutturato, è oggi una nuova interessantissima realtà che finalmente rende merito, in maniera estremamente fruibile e moderna, alla storia del Corpo.
LA TRAVAGLIATA STORIA
Il complesso museale, che fa parte dei Musei Militari dell’Esercito Italiano, ha una storia lunga e travagliata, iniziata sin dal 1916, durante la Grande Guerra. In quell’anno il Generale Giuseppe Perrucchetti, Senatore del Regno e uno dei creatori degli Alpini, poco prima di morire espresse la volontà che fosse costituito un Museo Nazionale per celebrare le gesta dei “suoi” Alpini, che in quegli anni aveva visto battersi finalmente per ciò per cui erano stati creati: la difesa dei confini nazionali. Ma il grande conflitto mondiale non lasciava spazio ai musei e anche i turbolenti anni che ne seguirono fecero dimenticare l’idea.
Il Generale Perrucchetti
Fu nel ventennale della fine della Grande Guerra, nel 1938, che in occasione della 19ª Adunata Nazionale degli Alpini, svoltasi proprio a Trento, venne accolta dal Governo la proposta formulata dalla Legione Trentina (sodalizio costituito nel 1917 per iniziativa di alcuni fuoriusciti, per unire tutti i volontari trentini arruolatisi nell'Esercito Italiano) di costituire un complesso in onore del Corpo degli Alpini - nel quale avevano militato moltissimi trentini irredenti- che nel passato conflitto mondiale si era battuto in un ambiente operativo difficilissimo e dalle cui gesta era derivato un alone di leggenda destinato a penetrare profondamente nella cultura nazionale, diventando simbolo di vittoria ed assieme di difesa e sicurezza del territorio italiano. L’idea ebbe ovviamente il pieno ed entusiastico appoggio dell’Ispettorato Truppe Alpine e del 10° Reggimento Alpini (denominazione di allora dell’ Associazione Nazionale Alpini).
La dislocazione del complesso venne individuata sul Doss Trento, una rupe di forma arrotondata, boscosa e pianeggiante in cima, che sorge sopra Trento. Con una quota di 309 metri s.l.m. il Doss, chiamato anche Monte Verruca, dall’antico nome datogli dai primi coloni romani, domina il capoluogo trentino dalla riva idrografica destra del fiume Adige.
Durante la Grande Guerra la collina era parte del complesso difensivo della Festung Trient (Fortezza di Trento), l’imponente difesa eretta dagli austro- ungarici attorno alla città a partire dal 1860 e strategicamente attiva fino al suo quasi abbandono nel 1916. Il Festung Trient era un vero e proprio campo trincerato a difesa del capoluogo e il Doss, da sempre considerato baluardo alla città, fu riconsiderato dagli austriaci anche come perfetto punto di osservazione su tutta la vallata.
il Doss Trento con le fortificazioni Austroungariche
Sulla collina erano stati costruiti dalla K.u.K Geniedirektion in Trient (Imperial Regia direzione del Genio militare di Trento) una fabbrica di munizioni con relativa polveriera fortificata - importantissima per l’intero complesso della Festung Trient, poiché ne garantiva la sussistenza operativa- depositi vari, una caserma, una stazione di piccioni viaggiatori e 4 batterie a cielo aperto fronte sud-est, fronte est, fronte nord e fronte ovest dotate di 4 cannoni da 150mm, 4 da 120mm e 4 da 90mm.
Una di queste batterie era rivolta verso la città ed aveva anche lo scopo di fungere da deterrente per eventuali rivolte anti austriache nella cittadina. Con difese del genere, seppur in gran parte obsolete, era evidente che un eventuale attacco alla Fortezza di Trento si sarebbe tramutato in un assedio sanguinoso con ben poche chances di vittoria per un nemico che avesse intrapreso un attacco diretto.
La stazione di piccioni viaggiatori sul Doss Trento
Nel 1916 però, dopo la Strafexpedition austro-ungarica di maggio, il fronte si allontanò sensibilmente dalla città trentina, tramutandosi in guerra di posizione sulle vette dolomitiche; ormai il fronte principale era il Carso ed il Trentino solo un teatro di guerra secondario. Di conseguenza le opere della Fortezza furono praticamente dismesse e la maggior parte dei pezzi di artiglieria venne trasferita al fronte principale.
Il mausoleo di Cesare Battisti
Tornando al primo dopoguerra, negli anni ’30 dello scorso secolo sul Doss Trento era stato eretto un mausoleo dedicato a Cesare Battisti, l’irridentista martire nato proprio a Trento il 4 febbraio 1875 e qui impiccato dagli Austriaci il 12 luglio 1016 dopo essere stato catturato, ufficiale degli Alpini, sul Monte Corno assieme a Fabio Filzi. Nella volontà di onorarne la memoria nella sua città, nel 1922 era stata promulgata una legge per l’erezione a Trento di un monumento a lui dedicato, da posizionarsi sul Doss, che lo Stato italiano aveva concesso gratuitamente l’anno prima alla città. Il progetto, di stile classico e celebrativo, fu approvato nel 1926 e, affidato all’architetto veronese Ettore Fagiuoli, venne terminato nel 1935 e inaugurato il 26 maggio di quell’anno, con l’inumazione al suo interno delle spoglie mortali dell’eroe trentino.
Quale altro posto migliore del Doss Trento, quindi, per costruirvi il Museo che celebrava le gesta degli Alpini? Il progetto iniziale era grandioso: una vera e propria “Acropoli Alpina”, un complesso monumentale ad un “castrum” romano, che doveva raccordarsi con mausoleo a Battisti.
Il primo progetto dell’Acropoli Alpina
Il complesso, progettato dagli architetti Mario Cereghini, Giovanni Muzio, Giancarlo Maroni e Adalberto Libera, faceva capo a un comitato esecutivo per la sua costruzione.La prima cosa da fare era una strada di accesso carrabile (poi detta, appunto, Strada degli Alpini) che dall’antico quartiere di Piedicastello portava alla cima del Doss. Progettata dal Comune di Trento, per la sua realizzazione l’Ispettorato Truppe Alpine mise a disposizione un distaccamento di truppe provenienti dalle allora cinque Divisioni Alpine (Tridentina, Julia, Taurinense, Cuneense e Pusteria). Il “Distaccamento Alpini della Verruca”, accantonato per l’occasione nei locali della birreria “Al Croz”, durante i lavori impegnò mediamente 270 soldati, arrivando a superare le trecento unità nell'estate del 1942. In dotazione solo due autocarri FIAT 18 BL reduci della passata guerra, alcune carrette da battaglione, otto muli, due cavalli, tre motocompressori e un numero incalcolabile di badili, picconi, mazze e scalpelli; il tutto amalgamato da volontà ferrea e… olio di gomito, liquido che agli Alpini non farà mai difetto in tutte le loro partecipazioni ai conflitti e non. I lavori iniziati l'8 gennaio 1940 comprendevano anche la complessa realizzazione di una galleria di alcune centinaia di metri che sale con un tornante all'interno della roccia, nella quale è presente una cappella dedicata a Santa Barbara (Santa patrona delle Armi di Artiglieria e Genio, ma anche dei montanari, nonché di torri e fortezze) progettata sempre dell’Architetto Giancarlo Maroni assieme a Silvio Zaniboni. Oltre alla strada furono realizzati anche sentieri pedonali, terrazze, scalinate e rampe che rimontano i tornanti fin sulla cima del colle.
I lavori di costruzione della strada
All’inizio della strada fu realizzato il piazzale delle Divisioni Alpine, che ha sul lato nordoccidentale una serie di cinque aquile scolpite in pietra rappresentanti le cinque divisioni in organico nel 1940 ( la sesta, la Alpi Graie, sarà costituita solo durante la guerra, nel novembre 1941). Il piazzale di arrivo, in alto, sarà dedicato a Giuseppe Perrucchetti.
Tutto il materiale per la costruzione- trasportato sul Doss a dorso di mulo o a piedi, quando non era possibile fare diversamente- veniva lavorato da Alpini scalpellini e proveniva da due cave locali: una prima presso la frazione di Cadine e successivamente anche da una nella zona dei Solteri.
Durante i lavori, il Capitano Cesare Paroldo, allora comandante del distaccamento (il quale poi, da Maggiore, combatterà in Russia con il Btg Val Chiese della Tridentina), fece realizzaresullaparete occidentale del Doss la famosa scritta nella roccia "PER GLI ALPINI NON ESISTE L'IMPOSSIBILE", che ben illustrava, oltre alla caratteristica pregnante delle Penne Nere in armi, anche lo sforzo fatto dai suoi uomini per costruire la strada con così pochi mezzi a disposizione. Le lettere, alte 120 cm per una profondità di 20 cm, furono scolpite a mano dagli scalpellini del distaccamento grazie ad un ingegnoso ponte mobile sospeso.
La scritta in lavorazione
La scritta, che campeggia ancora oggi ben visibile
Originariamente la scritta doveva essere una frase di Mussolini dedicata alle Penne Nere: "Per gli Alpini d'Italia non esiste l'impossibile", ma lo spazio sulla parete era insufficiente e gli Alpini furono obbligati ad abbreviarla in quella che ancora oggi campeggia lassù e che sarà emblematica nel tempo anche per quanto riguarderà proprio il progettato Museo. Le lettere inoltre avrebbero dovuto essere rifinite con fasce rifrangenti ed illuminate da un faro per essere visibili anche di notte, ma le disposizioni sull’oscuramento notturno per prevenire gli attacchi aerei (ormai l’Italia era entrata nella Seconda Guerra mondiale) posticiparono a data da destinarsi l'installazione di tali dispositivi che, per gli eventi, non saranno però poi più posti in opera.
La scritta, che campeggia ancora oggi ben visibile
La Strada degli Alpini, celebrata anche da Paolo Monelli sul Corriere della Sera come il primo passo del futuro Museo Nazionale Storico degli Alpini, sarà inaugurata il 5 luglio del 1942 dal Generale di C.A. Gabriele Nasci, primo presidente della “Fondazione Acropoli Alpina” che, sancita con/ratificata da una legge nel 1941, aveva il compito di sovrintendere alla costruzione del monumentale complesso. Nasci, nel marzo precedente era stato nominato comandante del Corpo d'Armata Alpino assegnato all'Armata Italiana in Russia (ARMIR), alla testa del quale il 18 luglio partirà per il fronte russo.
L’inaugurazione della Strada degli Alpini nel 1942
Con l’inasprirsi del conflitto, il personale del distaccamento che lavorava al progetto fu via via sempre più ridotto ed i lavori furono rallentati fino a fermarsi completamente il 9 settembre 1943, il giorno dopo il fatidico proclama di Badoglio e a pochi giorni dal terribile bombardamento di Trento da parte degli aerei Alleati che il 2 settembre aveva fatto circa 200 morti e creato grandi distruzioni che avevano colpito anche la Strada degli Alpini.
Trento bombardata; sullo sfondo il Doss col mausoleo di Battisti
Il monumentale progetto dell’Acropoli Alpina, che prevedeva lungo il muro perimetrale ben 17 torri, intitolate agli 11 Reggimenti Alpini, ai 5 Reggimenti di Artiglieria Alpina e 1 al Reggimento Genio, con all'interno del recinto del “castrum” un Arengo, un Sacrario ed un vasto Museo, verrà quindi accantonato.
Con il dopoguerra e le ricostruzioni che ne seguirono, si ricominciò a parlare del Museo, ma le priorità erano ben altre ed i costi per la realizzazione dell’Acropoli così com’era stata proposta, erano ormai assolutamente improponibili: abbandonato quindi il progetto del complesso monumentale, venne decisa la realizzazione del solo Museo/Sacrario. Nel 1946 ripartirono le attività di negoziazione tra il Comune di Trento e la Fondazione per definire l’area del museo, evidenziata in un fabbricato già parte della polveriera austriaca. Le gravi difficoltà economiche però rendevano lentissimo lo sviluppo del progetto e per prima fu data priorità alla Strada che, restaurata dopo i bombardamenti, fu riaperta nel 1947. Nel frattempo era ricominciata da parte dell’Associazione Nazionale Alpini e dell’Ispettorato Truppe Alpine la raccolta di reperti e cimeli per il futuro museo.
La vecchia polveriera austriaca sulla quale verrà eretto il museo
Ma un’altra nuvola grigia si stava addensando sul progetto: il governo stava per sopprimere la Fondazione Acropoli Alpina, considerandola Ente non essenziale. Fu solo grazie alla strenua opposizione del sindaco di Trento, di esponenti della politica trentina e soprattutto del Generale Giuseppe Adami, Commissario prima e Presidente poi della Fondazione, che le cose andarono diversamente. Adami, già comandante del 5° reggimento Alpini nella Campagna di Russia e uno dei protagonisti della battaglia di Nikolajewka, si adoperò tenacemente e fermamente per dare a tutti gli Alpini un luogo dove ricordare, conservare e tramandare la memoria dei caduti e le tradizioni del Corpo.
Il Colonnello Adami rientra dalla Russia
Adami dedicherà alla realizzazione del Museo, al suo allestimento e alla sua conservazione tutta la sua appassionata ed intelligente opera fino al 1964, anno della morte. Con la sua ferrea volontà fece ripartire il progetto, anche grazie ad un generoso contributo finanziario delle autorità regionali. Il 15 luglio 1954 col Decreto del Presidente della Repubblica n.855 venne autorizzata la donazione alla Fondazione Acropoli Alpina dei beni demaniali che costituiranno il futuro Museo e il 24 maggio 1956 fu posta laprimapietra.
Subito dopo vennero scolpiti, dagli scultori Zaniboni e Bianchini, i bassorilievi della facciata ai quali seguì, l’anno successivo, la realizzazione dei cippi in onore dei Reparti, che tutt’oggi sono anche il simbolo del nuovo Museo.
I lavori di costruzione del primo museo
Finalmente, il 15 marzo 1958, il Museo Nazionale Storico degli Alpini vide la luce, inaugurato durante la 31^ adunata dell'A.N.A. a Trento, nel 40° anniversario della Vittoria nella Prima Guerra mondiale.
L’inaugurazione del museo nel 1958
I lavori erano stati curati dall’architetto Serafini e dal Colonnello Paolo Caccia Dominioni,architettoe Geniere Alpino, già comandante del XXXI btg. Genio Guastatori durante la battaglia di El Alamein e poi per quattordici anni impegnato in quel deserto alla ricerca delle salme dei caduti di ogni nazione.
Caccia Dominioni volle realizzare anche di sua mano, sulla parete di fronte all’entrata del Museo, il pannello raffigurante "La morte del Capitano" ispirato dalla motivazione della MOVM “alla memoria” del Capitano Giuseppe Grandi del Btg.Tirano , caduto in Russia.
“La morte del Capitano” di Paolo Caccia Dominioni
Purtroppo le difficoltà non erano però finite e per alcuni anni il Museo non poté essere raggiunto a causa di problemi sulla Strada degli Alpini dovuti alla cedevolezza delle pareti del Doss, ma dopo i disgaggi e la messa in sicurezza della Strada, il Museo ebbe una seconda inaugurazione nel maggio del 1964.
IL VECCHIO MUSEO
Purtroppo, come abbiamo visto, il grandioso progetto dell’Acropoli Alpina era andato sempre più riducendosi ed il Museo, a causa del poco spazio, si è sempre prestato ad essere più un Sacrario che un museo vero e proprio. Lo stesso Paolo Caccia Dominioni ebbe a dire: “ Il Museo è sì bello, ma purtroppo è piccolo”. Non vi era infatti il posto necessario ad esporre degnamente tutto il patrimonio accumulato negli anni con acquisizioni e numerosissime donazioni, anche illustri, accuratamente censite e catalogate dai vari Presidenti e dai segretari del Museo, che oggi costituiscono un patrimonio di valore
inestimabile. Inoltre la concezione stessa delle varie sale museali, rimaste quasi invariate da tempo, non lo rendevano fruibile nel senso moderno del termine legato ad un’istituzione di quel tipo.
Nel gennaio del 1978, a seguito del Decreto P.R. n. 855, la Fondazione Acropoli Alpina venne sciolta e le sue funzioni, nonché l’intero suo patrimonio, vennero trasferiti al Ministero della Difesa, che da allora lo cura e lo amministra.
Purtroppo i fondi per la storica istituzione sono stati però sempre pochi, quasi del tutto devoluti per il mantenimento dell’infrastruttura. Anche il personale era insufficiente, benché motivato, ed il Museo restò come congelato per parecchio tempo. Fortunatamente un nutrito gruppo di volontari, che si riunirà in sodalizio nel 2008 (l’Associazione Amici del Museo Nazionale Storico degli Alpini), contribuirà ad aiutare la valorizzazionedelMuseoedelsuopatrimonio storico. Una piccola svolta ci sarà negli anni 2000, con un minimo ampliamento per costruire la biblioteca, che nel tempo continuerà a crescere. Sono gli anni in cui il Museo è diretto dall’allora Generale di Brigata, Ruolo d’Onore, Stefano Basset, classe 1959, Medaglia di Bronzo al Valor Militare per le gravi ferite riportate dopo essere saltato su una mina col suo automezzo durante una missione Onu nel Polisario, l’ex Sahara spagnolo, nel 1992. Basset è stato la vera locomotiva trainante degli ultimi anni del “vecchio” Museo, che ha iniziato a dirigere nel 2006. Artigliere da Montagna, appassionato della Storia degli Alpini ed estremamente competente, ha tenuto in piedi e valorizzato l’Istituzione con impegno infaticabile, grandissimo sforzo e pochissime risorse, tenendo fede alla scritta che campeggia incisa nella roccia del Doss Trento: “per gli Alpini non esiste l’impossibile”.
Qui e in alto, alcune sale del “vecchio” museo
Scritto da Stefano Rossi