16 luglio 2010. Il sole ancora basso proietta le ombre lunghe del mattino sulla terra rossastra del villaggio di Bozbai, nella cruciale provincia di Badghis, a nord-ovest di quel Paese tormentato che è l’Afghanistan. Bozbai è un insediamento poverissimo, battuto costantemente dal vento, sulla riva sinistra del fiume Morghab che proprio lì fa un’ansa di 90° nel suo scorrere dai monti dell’Afghanistan centrale fino al deserto del Karakum, in Turkmenistan, dove si perde dopo un corso di circa 900 chilometri. Il Morghab é un fiume importante: lì dà il nome anche alla valle, un catino verde circondato di montagne brulle, ed all’intero distretto di Bala Morghab. Lungo il suo corso è disseminata una miriade di villaggi che in questa zona sono abitati in larga maggioranza da popolazioni di etnia Pashtun. Siamo in quella che è considerata la più povera e sottosviluppata tra le 34 province dell’Afghanistan, ma la zona è considerata strategicamente importante: la sua vicinanza con il Turkmenistan e il fatto che la valle sia attraversata dalla Ring Road, la principale arteria dei commerci afgani che collega tra loro le principali città dell’Afghanistan, ne fa uno snodo fondamentale per il controllo dei traffici di armi e soprattutto di droga, con la quale si finanzia la resistenza fondamentalista.
Bozbai è ad una manciata di chilometri a sud della FOB (Forward Operating Base- Base Operativa Avanzata) Columbus di Bala Murghab, attiva dal 2008 quando la zona fu occupata dai soldati della Brigata Friuli con un’operazione di “cavalleria dell’aria”, nella zona affidata al controllo delle Forze Armate Italiane che sono impegnate a riacquistare il controllo di questo territorio, ad “alta densità” di guerriglieri talebani. Scontri a fuoco e imboscate sono frequenti e la base è spesso sotto assedio.

          1 - Copia.jpg

Cartina dell’Afghanistan con le zone descritte

  

Il villaggio di Bozbai, nell’ansa del fiume Morghab     

 2 - Copia.jpg

Sono le 07.02 ora locale, quando all’improvviso alcuni elicotteri birotore CH47 da trasporto si avvicinano al suolo e in una tempesta di polvere sbarcano velocemente dei soldati occidentali presso il villaggio. “Fuori, fuori, fuori!”,  la zona è potenzialmente nemica e l’uscita dagli aeromobili deve essere effettuata nel minor tempo possibile, dopodiché i velivoli ripartono velocemente.
Quelle scese a terra sono tre unità di soldati italiani della Task Force 45, il reparto misto delle nostre Forze Speciali, creato per l’esigenza Afghanistan e destinato a condurre in quel Paese le operazioni più delicate nell'ambito dell'Operazione Sarissa dell'International Security Assistance Force (ISAF).

3.png

È scattata l’operazione Maashin IV, un intervento “chirurgico” per ostacolare l’aggressività degli insurgents nella zona e mantenere la “bolla di sicurezza” creata dagli Italiani nella cruciale provincia di Badghis: la nostra intelligence ha infatti segnalato a Bozbai la probabile presenza di capi talebani e un laboratorio di fabbricazione degli IED (Improvised Esplosive Device), i famigerati ordigni realizzati in maniera artigianale e usati per colpire i soldati dell’ISAF.
Le unità si muovono verso gli obiettivi assegnati nell’apparente pace di quelle lande desolate. Una è formata da un distaccamento del GOI (Incursori della Marina) e una seconda da Incursori del RIAM dell’Aeronautica Militare. A queste sono aggregati soldati dell’ANA, l’esercito afghano, mentre a copertura del perimetro e in appoggio di fuoco è in azione una terza unità formata da 22 Ranger del Btg. Alpini Paracadutisti “Monte Cervino”, che all’epoca era inquadrato come FOS-Forza per Operazioni Speciali (oggi il 4°Rgt. Alpini Paracadutisti -Ranger- è una Forza Speciale a tutti gli effetti) in supporto tattico ai reparti di punta della TF 45: il 1° plotone
Shagal, della 1^compagnia.
I due obiettivi, Tango1 a Tango 2, sono da neutralizzare in rapida successione. Lo spostamento tra i due è in zona esposta e garantire il cordone di sicurezza nel movimento non sarà facile: i Ranger dovranno muoversi in due zone e momenti diversi per dare copertura agli Incursori, ma in realtà non si prevede una resistenza organizzata. C’è però un’agitazione strana nel villaggio, rispetto a quanto previsto dalla nostra intelligence, e già mentre i nostri soldati sono in prossimità del primo obiettivo, gruppi di uomini armati scappano dalle case verso i campi e razzi RPG sono lanciati, a vuoto, contro gli elicotteri che si allontanano. La radio gracchia: “...attività ostile confermata!”. A Tango 1 intanto nessun problema di sorta: gli Incursori ed i soldati afghani escono con due prigionieri, probabili capi talebani che partecipavano ad una shura, l’assemblea dei capi villaggio.”Pronti a muovere verso Tango 2!”. Il plotone Ranger è in coda al dispositivo tattico e si muove in un terreno incolto in salita, verso alcune case isolate. Di colpo dalla parte del fiume arrivano le prime raffiche di armi leggere: Insurgents attaccano allo scoperto, a non più di 400mt. Tra i Ranger c’è il Caporal Maggiore Scelto Andrea Adorno, con la sua arma di squadra- una mitragliatrice leggera M249 Minimi in calibro 5.56- che è tra i primi a reagire: raggiunto l’angolo di un muretto che dà una minima copertura, inizia il fuoco.

4.png

 Andrea Adorno con la sua arma di squadra

  

Da quel momento tutta l’azione diventa concitata ed episodica. Mentre il dispositivo prende posizione, Adorno non fa altro che mirare e sparare mentre i proiettili fischiano tutto intorno. Mentalmente ripassa il munizionamento in dotazione: 100 colpi nell’arma e altri 500 nei box che si porta dietro. Mirare e sparare. Ora il nemico si è portato al coperto e tira anche verso gli Incursori. Mirare e sparare. Cambio caricatore. Fuoco di saturazione. Mirare e sparare, solo questo conta.
Chi non è mai stato in combattimento fatica a capire quanto adrenalina, paura e mille altri fattori contribuiscano spesso a far perdere la lucidità, anche a soldati temprati. La calma, la razionalità, vanno in breve tempo per i fatti loro e ognuno reagisce a suo modo; la visione spesso diventa “a tunnel”, non si sentono più i rumori anche se sono assordanti, non si ricorda cosa si è fatto solo un attimo prima e si vorrebbe solamente… non essere lì. Ma addestramento e consapevolezza di non essere soli, bensì di far parte di un dispositivo che mette in gioco anche le vite dei propri compagni, servono a continuare l’azione anche sapendo di essere in grave pericolo.
 Adorno è incurante dei colpi che gli arrivano vicino, che impattano per terra e sul muro. Si concentra solo nel mirare e sparare. Ad un certo punto sente come una forte sassata sulla gamba, sotto l’anca. È stato colpito e il sangue inizia a colare, la gamba brucia, ma lui dopo un attimo riprende il tiro impedendo che gli assalitori si concentrino sugli Incursori, che intanto ripiegano trasportando un altro italiano ferito. Andrea respira, si concentra nuovamente, tira il grilletto. Mirare e sparare. Cerca di fare il conteggio dei colpi; deve fare raffiche brevi perché ha già consumato quasi duecento colpi. Raffiche brevi, mirare e sparare. È sempre più sotto tiro e i colpi nemici non smettono di sibilargli attorno. Ormai, colpevole anche la perdita di sangue, è entrato quasi in una specie di trance in cui il tempo si è dilatato: Mirare e sparare, solo questo, mirare e sparare!
 Gli Incursori passano. Ora sono in salvo nel perimetro di sicurezza; con le braccia completamente indolenzite Andrea Adorno spara un’ultima raffica, mentre la debolezza per la ferita si fa sentire pesantemente; comunica via radio “uomo a terra” e viene finalmente raggiunto dai suoi. Tutto il dispositivo ripiega sotto il fuoco verso la ZAE, la zona di atterraggio degli elicotteri e mentre si è in attesa dell’evacuazione un medico del GOI gli presta i primi soccorsi. Due elicotteri americani da trasporto si avvicinano e, mentre un primo UH-60 Blackhawk inizia ad imbarcare Adorno e il secondo ferito, intervengono anche i due elicotteri da attacco Apache di scorta, che riempiono di colpi e di razzi il nemico. Il secondo Blackhawk intanto sbarca una Forza di Intervento Rapido (QRF-Quick Reaction Force) formata dal plotone di ricognizione dei Ranger del Monte Cervino che combatteranno per un’altra ora nella zona, non senza altri feriti. Alle 13.00 un ultimo elicottero CH 47, estratta la QRF, lascia la zona e su Bozbai torna l’usuale silenzio di quei luoghi.

5.jpg 

Ranger del 4° rgt in azione in Afghanistan

L’operazione Maashin IV, nonostante non si sia potuto raggiungere il secondo obiettivo, infligge un grave colpo al nemico permettendo di consolidare e ampliare la zona di sicurezza attorno all’importante base di Bala Murghab.
Andrea Adorno, il Caporal Maggiore Scelto catanese 30enne, effettivo al 4° Reggimento Alpini Paracadutisti «Ranger» di Verona- dove era stato già per nove anni e da dove era partito per sette missioni all'estero tra Balcani, Iraq ed Afghanistan- ha la gamba trapassata da un colpo di grosso calibro che ha sfiorato l’arteria femorale; dopo le prime cure in Afghanistan, rientra in Italia per essere curato all’Ospedale Militare del Celio a Roma. Lo aspetta una lunga convalescenza prima di riprendere il servizio. Lo scontro di Bozbai rimane certo ben impresso nella sua memoria, ma, di carattere semplice e schivo, seppur determinato, Adorno non ha mai pensato di aver fatto qualcosa che non avrebbero fatto anche tutti gli altri colleghi al suo posto, niente che non fosse il suo dovere e il suo lavoro di professionista. Per potersi curare meglio e per restare vicino alla moglie e ai suoi due bambini viene trasferito
al 62° rgt. fanteria “Sicilia” di Catania ed è qui che apprende, nel 2014, con stupore, che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto, motu proprio, conferirgli la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: “Caporal Maggiore Scelto, Alpino paracadutista, nel corso dell'operazione "Maashin IV", mirata a disarticolare l'insurrezione afghana, conquistato l'obiettivo, veniva investito con la sua unità da intenso fuoco ostile. Con non comune coraggio e assoluto sprezzo del pericolo, raggiungeva d'iniziativa un appiglio tattico dal quale reagiva con la propria arma all'azione dell'avversario. Avvedutosi che il nemico si apprestava ad investire con il fuoco i militari di un'altra squadra del suo plotone, non esitava a frapporsi tra essi e la minaccia interdicendone l'azione. Seriamente ferito ad una gamba, manteneva stoicamente la posizione garantendo la sicurezza necessaria per la riorganizzazione della sua unità. Fulgido esempio di elette virtù militari. Bala Morghab (Afghanistan), 16 luglio 2010”.

                                                 6.jpg          7.png

    

Nei panni dell'eroe Andrea Adorno non si sente troppo a proprio agio. Nelle tante e tante interviste ed interventi seguiti al conferimento della massima onorificenza militare, che tra l’altro è la prima conferita ad un graduato dell'Esercito ancora in vita e in servizio, ripete: “Eroe io? Ho fatto solo il mio dovere. Non sono un eroe, sono un soldato e fare il soldato è il modo in cui dimostro l’amore per il mio Paese e anche se sembra una frase fatta, è la pura verità. Gli eroi oggi sono coloro che provvedono a una famiglia con uno stipendio misero”. Dopo essere rientrato al suo 4° Reggimento, Adorno, promosso al grado di Sergente “per meriti”- la prima promozione di questo genere conferita dopo il Secondo Conflitto Mondiale, oggi presta servizio presso l’Allied Joint Force Command Brunssum, un comando militare della NATO con base in Olanda, uno dei due comandi strategici operativi del Comando Operazioni Alleate del Supreme Headquarters Allied Powers Europe.
Per lo scontro di Bozbai, altri quattro Ranger saranno decorati con medaglie al Valore dell’Esercito.

8.jpg                           9.jpg

scritto da Stefano Rossi (©Text Copyright)

Gli articoli pubblicati non rispecchiano necessariamente l'opinione della Direzione del Museo.