Durante le prime settimane successive all’entrata in guerra del Regno d’Italia, mentre l’Esercito era ancora impegnato nelle complesse operazioni di mobilitazione, una delle poche azioni belliche di rilievo, fu la presa del Monte Nero, condotta da reparti alpini.
Il Monte Nero (2.245 mslm) è la vetta più importante di una catena che si svolge con direzione nord-ovest/sud-est sul versante sinistro dell’Isonzo, correndo pressochè parallela al fiume stesso. A nord del Monte Nero si ergono le vette del Monte Vrsic, del Monte Vrata e del Monte Potoce; a sud si incontrano il Monte Rosso, il Monte Rudecirob, il Monte Sleme e il Monte Mirzli. Quale contrafforte a questa catena si trovano il Monte Pleca e d il Monte Kozliak. Questo massiccio montuoso domina le conche di Plezzo, a nord, e di Tolmino, a sud, le quali, a loro volta, danno accesso alla valle del fiume Sava e alla piana di Lubiana. Antistanti a queste, la conca di Caporetto e il corso del fiume Isonzo.
È evidente come la conquista del massiccio avrebbe potuto assicurare al Regio Esercito un’ottima posizione dalla quale partire per sferrare l’offensiva verso la piana di Lubiana che il Comando Supremo italiano si prefiggeva, ed è altrettanto chiaro quanto l’Alto Comando austro-ungarico intendesse, a sua volta, conservarne a tutti i costi l’occupazione. L’ordine di operazioni n. 1 del 16 maggio emanato dal Comando Supremo prevedeva per quest’area chiave del fronte che il fianco sinistro della 2a Armata si portasse rapidamente oltre l’Isonzo e venisse a contatto con il caposaldo austro-ungarico di Tolmino. In particolare, il IV Corpo d’Armata aveva il compito specifico di impossessarsi della conca di Caporetto e della dorsale montuosa retrostante, in modo da rendere possibile l’aggiramento da nord dello stesso caposaldo. Agli ordini del IV Corpo erano ben 14 battaglioni alpini, ovvero sulla sinistra i Battaglioni Pinerolo, Exilles, Susa, Val Pellice, Val Cenischia e Val Dora, appoggiati da 2 batterie di artiglieria da montagna del Gruppo Torino – Pinerolo, riuniti nel Gruppo alpini “B”; sulla destra i Battaglioni Ivrea, Aosta, Intra, Cividale, Val d’Orco, Val Baltea, Val Toce e Val Natisone, con 4 batterie da montagna del Gruppo Bergamo, riuniti nel Gruppo alpini “A”. Opposte a queste truppe era schierato al 24 maggio poco più di un battaglione austro-ungarico. Appena scoccata la mezzanotte sul 24 maggio, gli alpini si misero in movimento, in poche ore ebbero ragione della scarsa resistenza incontrata, e al mattino del 24 erano già attestati di fronte a Caporetto. Quest’ultima cittadina fu occupata il giorno successivo dai bersaglieri del 6° Reggimento e, una volta gettate alcune passerelle, gli alpini attraversarono l’Isonzo e si impadronirono facilmente del Monte Pleca e del Monte Kozliak, avendo ragione delle deboli difese predisposte dalle truppe nemiche.
Su queste posizioni, gli alpini rimasero pressochè inoperosi durante i successivi 26, 27 e 28 maggio, salvo alcuni spostamenti dovuti ad avvicendamenti di reparti, a causa di un’eccessiva prudenza del Comando del IV Corpo d’Armata, che volle fosse completato lo schieramento dei reparti di fanteria prima di compiere l’ulteriore balzo[1]. Tale prudenza fu probabilmente dovuta anche alle scarse informazioni circa la consistenza dei reparti austro-ungarici che fronteggiavano il Corpo d’Armata, tuttavia questi giorni di sostanziale stasi nelle operazioni dettero la possibilità al nuovo comandante austro-ungarico del fronte dell’Isonzo, generale Svetozar Boroevic[2] di fare affluire in zona un’intera brigata da montagna, turando in questo modo la falla. Il 29 andarono all’assalto i bersaglieri e i fanti della Brigata Modena, con gli alpini relegati a un ruolo secondario, ma furono fermati dal preciso fuoco delle mitragliatrici: l’occasione per occupare la dorsale del Monte Nero con un audace colpo di mano era definitivamente tramontata e le nuove azioni andavano preparate con dovizia di mezzi e di uomini.
Le operazioni ripresero il 30 maggio, quando il Battaglione Susa fu incaricato di prendere il Monte Vrsic e il Monte Vrata. Il Battaglione mosse nella notte e all’alba del 31 maggio si trovava a ridosso, non visto, delle posizioni nemiche; alle prime luci le compagnie scattarono all’assalto e dopo avere sostenuto un breve combattimento ebbero la meglio sui difensori, catturando numerosi prigionieri e soffrendo lievissime perdite. Un contrattacco sferrato degli austro-ungarici fu respinto. L’azione prevista sul fianco destro del Monte Nero, contro il Monte Sleme e il Monte Mrzli ebbe minor fortuna. Nel pomeriggio del 1° giugno, infatti, mossero all’attacco del Monte Sleme reparti della Brigata Modena e il btg Intra, contro il Monte Mirzli mossero i fanti della Brigata Salerno, i bersaglieri e gli alpini del Battaglione Pinerolo; gli attaccanti erano appoggiati da alcune batterie da montagna del Gruppo Torino-Pinerolo e del Gruppo Mondovì. All’attacco si unì il 2 giugno il Battaglione Cividale, che investì il Monte Rudecirob. Le truppe italiane si scontrarono con un nemico oramai a ranghi completi, e, causa anche la poca artiglieria al seguito, nonostante le gravi perdite subite i progressi furono scarsi e immediatamente annullati da alcuni contrattacchi vigorosamente lanciati dagli austro-ungarici. Essi lanciarono addirittura una controffensiva generale contro tutte le posizioni conquistate dagli alpini durante i giorni precedenti, dal Vrisic al Vrata e al Kozliak, che venne però a sua volta stroncata sul nascere[3]. Un significativo successo fu colto il giorno successivo da un piccolo gruppo di 31 alpini volontari del Battaglione Susa, al comando del sottotenente Pietro Barbier; essi dettero la scalata ai 700 metri di pendio che separavano le posizioni italiane da quota 2102, tra il Vrata e il Potoce, e ne scacciarono il presidio nemico, rendendo più sicuri i movimenti delle nostre truppe in quella zona del fronte. Quest’azione servì a dimostrare che in montagna un assalto di sorpresa ben preparato da parte di piccoli reparti appositamente addestrati era preferibile a sanguinosi attacchi frontali, lezione peraltro non sempre ben compresa dai comandi. Dopo queste azioni seguì un periodo di relativa stasi da entrambe le parti, utilizzato dagli alpini per preparare l’assalto decisivo, dagli a-u per potenziare gli apprestamenti difensivi.
L’azione decisiva per la conquista del Monte Nero fu condotta dai Battaglioni Susa ed Exilles. Il Susa mosse nella notte tra il 15 e il 16 giugno dal Monte Vrata con il compito di investire il Potoce e impossessarsi di tutte le cime intermedie tra quest’ultimo e il Monte Nero, con l’appoggio della 9a Batteria di artiglieria da montagna; l’Exilles mosse contemporaneamente dal Kozliak con obiettivo la vetta del Monte Nero e le quote intermedie a sud di esso, con il concorso della 7a Batteria da montagna. Le compagnie 31a e 84a dell’Exilles alle prime luci dell’alba erano a ridosso delle trincee austro-ungariche; erano precedute da un plotone di 50 uomini scelti, guidati personalmente dal Capitano Vincenzo Arbarello, comandante della 84a Compagnia, che a loro volta avevano come avanguardia un manipolo di 5 uomini armati di bombe a mano, guidati dal Sottotenente Alberto Picco. Alle 4 del mattino gli uomini partirono all’assalto delle trincee nemiche, che cedettero di schianto, e la vetta era in mano italiana già attorno alle 4.45. Contemporaneamente le quattro compagnie del Battaglione Susa si avvicinarono a loro volta ai propri obiettivi, scattarono all’assalto del Monte Potoce e procedettero a espugnare una per una le quote tenute degli austro-ungarici. Verso le 5 del mattino si profilò un immediato contrattacco nemico, ma le truppe nemiche che avanzavano furono fatte segno del fuoco incrociato degli alpini ormai insediati sul Monte Nero e sul Potoce e, attaccate a loro volta risolutamente dagli alpini, sbandarono e si ritirarono precipitosamente. L’azione si era svolta brillantemente in poche ore e, grazie all’accurata preparazione e all’abilità degli alpini, a prezzo di perdite lievi in rapporto all’importante risultato raggiunto. Le perdite austro-ungariche furono certamente maggiori e, oltre ai caduti e ai feriti rimasero nelle mani degli alpini diverse centinaia di prigionieri. Gli alpini poterono così trincerarsi sulle nuove posizioni conquistate, rinforzandole trasportando a spalle fino in vetta alcuni pezzi da montagna della 7a Batteria. La presa del Monte Nero fu l’azione più spettacolare delle prime settimane di guerra e fu un grave colpo per l’armata austro-ungarica dell’Isonzo: Purtroppo, tuttavia, non produsse l’effetto sperato di portare alla caduta di Tolmino e all’avanzata verso la piana di Lubiana.
Alberto Picco 85° Compagnia Susa Monumento ai caduti del Monte Nero 1922 Teatro di guerra Alto Isonzo
Scritto da Enrico Finazzer
[1] Il giorno 28 un attacco fu portato verso il Monte Sleme da reparti della Brigata Modena, ma fallì di fronte alla vivace reazione dei reparti austro-ungarici.
[2] Svetozar Borojević von Bojna (1856 – 1920) nato in Croazia da famiglia serbo ortodossa, abbracciò molto giovane la carriera militare. Allo scoppio della Grande Guerra era al comando di un’armata sul fronte orientale, nel giugno 1915 fu nominato comandante della nuova 5a armata, schierata sul fronte italiano. All’indomani della resa dell’Impero Austro – Ungarico di dimise dai propri incarichi e morì pochi mesi dopo.
[3] Nella relazione ufficiale austro-ungarica si legge che gli alpini si dimostrarono avversari imperterriti e perfettamente rotti alla lotta in alta montagna.