(PER NON DIMENTICARE I LEGIONARI CECOSLOVACCHI SUL FRONTE ITALIANO)
Alcuni giorni fa di fine settembre, come avviene ormai da anni, su iniziativa del Gruppo Alpini di Arco, alla presenza delle Autorità del Consolato con gli Addetti militari della Repubblica Ceca e delle Autorità locali, nel prato in località Prabi è stato solennemente rievocato un tragico episodio della Grande Guerra. E’ in questo posto che si trova il monumento a memoria del sacrificio, avvenuto un mese dal termine della firma dell’Armistizio, di quattro Volontari Cecoslovacchi combattenti al fianco del Contingente italiano. Questi giovani, come in molti altri casi, erano sospinti a combattere o dal convincimento instillato da altri oppure sulla parola di politici che ne parlavano. Lo facevano nella speranza di riscattare la propria Patria sottomessa da secoli all’Austria imperiale.
Ricordando pure la presenza nell’Ossario di Castel Dante in Rovereto di 151 inumati cecoslovacchi, andiamo brevemente ad approfondire grazie a notizie tratte essenzialmente dal Libro di Eugenio Bucciol - I Legionari cecoslovacchi sul Fronte italiano nella Grande Guerra – e riportate nell’articolo di Antonio Brazzale dei Paoli sul Giornale di Vicenza, entrambi del 1968.
Differentemente da quanto avvenuto in Francia e in Russia, in Italia i soldati volontari della Legione Cecoslovacca cominciarono ad operare con le truppe italiane solamente dalla primavera del 1918. I prigionieri cecoslovacchi dell’Esercito austro-ungarico che chiedevano di collaborare inizialmente provocavano disprezzo e diffidenza da parte dei Comandi italiani, che non erano interessati dai loro contrasti etnici e tantomeno dalle loro motivazioni ideologiche. Erano solamente soldati nemici, bosniaci, tedeschi o cechi tenuti al rispetto del codice d’onore che non ammetteva tradimenti. In cattività i dichiarati disertori venivano discriminati, ricevevano minore sussistenza e subivano angherie. La costituzione della Legione cecoslovacca in armi avvenne suolo gradualmente.Il primo passo per la collaborazione militare italo - ceca fu la costituzione dei battaglioni di lavoro di volontari da impiegare in opere di difesa al fronte decretato nel febbraio del 1918. I prigionieri cecoslovacchi, dopo aver soggiornato nei vari campi di concentramento di Sulmona, Padulla, Altamura, Carini, Santa Maria Capua Venere ed altri presso conventi e fortezze nel Sud Italia, furono separati da una convivenza non sempre facile per iniziare un periodo preparatorio.
Dai campi di lavoro del Sud, dove almeno il 25% di loro lavoravano in attività agricole, ben 11.200 volontari vennero trasferiti al Nord suddivisi in sette Battaglioni di stanza a Mantova, Sommacampagna, Goito, Pastrengo, Bardolino, Valeggio, Badia Polesine e dopo un breve periodo addestrativo aggregati al Genio militare con la divisa grigioverde e coccarda cecoslovacca rosso bianca nelle retrovie per lavori di difesa. Dal momento che anche l’Italia riconobbe alleata la Nazione cecoslovacca e li riconobbe quale Unità indipendente, essi persero lo status di prigionieri di guerra. Con l’incalzare degli eventi il 15 aprile 1918 lo Stato italiano decise di riconoscere ufficialmente la Legione cecoslovacca in Italia e i suoi volontari vennero arruolati nei Battaglioni di lavoro, equiparati a tutti gli effetti a quelli italiani e a loro fornito il cappello degli Alpini e il pugnale degli Arditi; li distinguevano anche le mostrine rosso bianche della coccarda nazionale.
Nel maggio 1918 il contingente della Legione, comandata dal Generale Andrea Graziani di Bardolino, contava 11.473 militi, 365 ufficiali con il massimo grado di Tenente con l’aggregazione anche di 1235 soldati e ufficiali italiani e la sua dotazione consisteva in 1856 tra cavalli e muli, 306 carri e 26 automobili e nel giugno raggiunse le 13.653 unità con 489 ufficiali. Il 24 maggio, terzo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia, dopo il giuramento davanti all’Altare della Patria di mille uomini del Battaglione di rappresentanza fu consegnata la Bandiera di Guerra. Successivamente fu completato l’armamento in fasi successive e sui Monti Berici consegnate granate e alcuni cannoni da montagna. Il 29 giu-gno a Orgiano la Legione sfilò davanti al Re Vittorio Emanuele III pronta per la battaglia del Solstizio.
Già da maggio però circa mille di loro specializzati vennero distribuiti in diversi punti del fronte alpino e lungo la linea del Piave. Molti Volontari cecoslovacchi caddero in battaglia a fianco delle truppe italiane, degli Alleati inglesi, francesi e americani, mentre coloro che furono catturati subirono lo stesso destino degli irredentisti Battisti, Filzi e Sauro: processati per direttissima, condannati a morte per alto tradimento e per regolamento austriaco impiccati. Le esecuzioni capitali di Legionari consumate negli ultimi mesi del conflitto furono circa 60 distribuite lungo tutta la linea del fronte di cui 39 sul Piave, 15 a Conegliano e 4 in località Prabi di Arco. I giovani venivano giustiziati appesi a piante secolari come gelsi, ulivi ippocastani. La notizia dell’avvenuta dipartita di un soldato austro-ungarico veniva comunicata alla famiglia direttamente dalle autorità militari, mentre nel caso dei Legionari l’incarico veniva dato al Parroco ed il relativo certificato evidenziava l’infamia con la scritta “giustiziato”.
I Legionari cecoslovacchi seppero distinguersi il 29 giugno 1918 nella Battaglia di Valsella con 19 Caduti dei quali 3 ufficiali, 66 feriti di cui 4 ufficiali e 4 dispersi. Un Legionario caduto in mano austriaca venne curato e appena migliorato il 6 luglio fu processato e poi giustiziato. Nell’attacco austriaco sul fiume Piave, ritirandosi in ritardo, i Legionari furono accerchiati e catturati per poi essere giustiziati. Il 17 giugno il 1° Battaglione del 3° Reggimento fucilieri cecoslovacco, presso S.Donà del Piave, partecipò al respingimento del nemico. Ci furono gravi perdite: caddero 22 soldati, 177 furono i feriti, 18 risultarono dispersi e di questi 14 in effetti furono catturati e giustiziati come traditori. Altro atto di valore fu la Battaglia del Doss Alto sul monte Baldo del 21 settembre da parte della 12° batteria del 33° Reggimento che sopportò l’attacco austriaco, dopo che il punto avanzato di osservazione era stato sopraffatto senza poter dare alcun avvertimento, consentendo al Comando di inviare fucilieri di rinforzo a respingere in ritirata il nemico. In questo combattimento caddero 5 Legionari e 2 ufficiali, 31 militi furono feriti e 5 di loro furono catturati. Di questi quattro furono giustiziati ad Arco il 22 settembre, mentre il quinto, per la sua minore età, fu risparmiato e mandato in segregazione. In un altro caso, prima della partenza per il fronte nella notte tra l’11 e il 12 giugno, istigati da un Caporale ceco, disertarono 18 Legionari pensando con quella divisa di confondersi tra gli Alpini e di passare inosservati. Otto di loro per furono catturati a Vicenza e fucilati alla schiena a Barbarano dove erano stati di stanza.
Episodio spietato e drammatico non meno di quelli che avvenivano nel versante del fronte opposto a dimostrazione che la guerra, da qualsiasi bandiera la si guardi, è sempre un crimine e sempre di umana follia. Come diceva sempre nelle scuole agli studenti l’indimenticabile Alpino Lino Gobbi, uno degli ultimi Reduci del Fronte Russo della 2° Guerra Mondiale, da poco – come dicono gli Alpini - andato avanti, “ bisogna fare la Guerra alla Guerra”.