MALINCONICO ESEMPIO DI QUELLO CHE NON FU
Tra vecchi incartamenti ho trovato una serie di articoli, allora in esclusiva, sulle pagine di diversi numeri del Gazzettino del Veneto del 1948 riportanti il diario di pugno del Generale Maresciallo d’Italia Enrico Caviglia. Incuriosito, in internet ho trovato anche un articolo del Corriere della Sera del 29 ottobre 2018, a firma di Silvia Morosi e di Paolo Rastelli, recente unico retaggio di quello che fu il personaggio artefice anch’esso delle vicende storiche dalla 1° Guerra Mondiale al primo dopoguerra della 2° Guerra Mondiale e presso che scomparso dalla memoria collettiva nazionale.
E se la storia d’Italia, anche attraverso di Lui, avesse avuto sviluppi diversi ci sarebbe nei confronti di questo Italiano una memoria e un atteggiamento diverso? Caviglia nacque a Finale Ligure, nel borgo di Finalmarina (SV) il 4 maggio 1862, entrò all’ Accademia militare di Torino nel 1880. Artigliere, nello Stato Maggiore del Regio Esercito si distinse sul campo in Estremo Oriente e in Africa, nel 1888 in Eritrea e nel 1896 ad Adua. Nel 1901 divenne Maggiore e poi Ten. Col nel 1908; partecipò quindi alla guerra italo-turca in Libia nel 1911-12 e successivamente fu impegnato quale Addetto Militare a Tokio e Pechino. Nel 1914 divenne direttore dell’Istituto Geografico Militare di Firenze. Nel 1915, a Prima guerra Mondiale iniziata, combatte con la Brigata Bari sul Carso e in Trentino durante l’offensiva austroungarica del 1916. Li si guadagnò la Croce dell’Ordine Militare di Savoia al comando della 29° Divisione. Nel 1917, venne promosso Generale per meriti nella 11° battaglia della Bainsizza, al Comando del 24°Corpo d’Armata e a Caporetto portò le sue truppe comandate e quelle di Badoglio fino al Piave, guadagnandosi la Medaglia d’Argento al Valore Militare.
Tutti questi riconoscimenti non lo resero cieco di fronte al tributo di sangue che le tattiche offensive della G.G. richiesero a soldati e ufficiali. Scrisse infatti: “non ho mai sofferto così tanto della stupidità della guerra che eravamo obbligati a fare”.
Nel 1919 divenne Senatore del Regno e fu anche Ministro della Guerra dal gennaio al giugno del 1919; successivamente nel 1920 fu Comandante delle Truppe inviate a Fiume, occupata dai legionari di Dannunzio.
Nominato Senatore del Regno non ascritto a Gruppi dal 22 febbraio 1919 fino al 17 maggio 1940, fu nominato Maresciallo d’Italia il 25 giugno 1926, partecipò alla Commissione per l’esame dei Patti Lateranensi nel 1929 e fu membro della Commissione per il giudizio dell’Alta Corte di Giustizia fino al 1934. Dopo l’adesione iniziale sostanziale, ma priva di esplicite prese di posizione, ritirò il suo consenso nel 1924 non verso le da lui definite - idee originali del fascismo - quanto dagli sviluppi seguenti.
Nel secondo Conflitto Mondiale il 25 luglio 1943, dopo il famoso Consiglio che sfiduciò Benito Mussolini, venne proposto al Re Vittorio Emanuele III di Savoia da Dino Grandi quale Capo del Governo. Le motivazioni: - per i suoi precedenti di non fascista e per il suo prestigio e adamantino carattere sarebbe sicuramente il migliore e il più degno Capo del nuovo Governo. Militari e civili ubbidirebbero a lui fiduciosamente-. Scelto dal Re invece Badoglio, il 10.9.43 Caviglia assunse per poco il comando militare di Roma conseguente all’annuncio dell’Armistizio con gli Angloamericani e la fuga del Re. Trattò con il Feldmaresciallo tedesco Albert Kesselring la resa della Capitale il 10 settembre 1943 e giudicato troppo anziano per la carica di capo dell’esercito repubblicano si ritirò nella Villa “Vittorio Veneto” a Finale Ligure dove, un mese prima della fine della 2°Guerra Mondiale, il 22 marzo 1945 morì.
Riporto dal diario di suo pugno dagli articoli del Gazzettino dal 27 giugno al 27 luglio 1948, la testimonianza del carattere e dell’uomo superiore (secondo Gaetano Salvemini), ironico e maligno (secondo Mario Cervi) e di anti Badoglio (secondo Paolo Cervone). 26.2.1940 – “In Senato si lamentano. Si direbbe che il Governo fa di tutto per rendere il fascismo odioso […. ] - questa burocrazia è un vampiro che ingrassa sempre. Altro vampiro è Roma. Spogliano l’Italia per spendere male i denari a Roma. Cominciano appena ora ad accorgersi di ciò che io predico e predico da diciotto anni. È facile prevedere la rovina di Roma fascista, ingombrante e mostruosa creazione di una burocrazia vampiro e di sfruttatori - ladri”.
Di seguito intendo riportare stralci del diario pubblicato sul Gazzettino del 1948 inerenti a fatti italiani della Seconda Guerra Mondiale, pur trovando interessanti anche gli spunti relativi ai periodi antecedenti la Prima Guerra Mondiale e della stessa Grande Guerra.
Continua….
Scritto da Pietro Calvi