Front art 2

La guerra sulle Alpi nel ‘700

(seconda parte)

Monsieur Belle-Isle nous chal murir, murir delì 'n Pimount
(Signor Belle-Isle noi dobbiamo morire, morire là in Piemonte)
Ballata occitana
 

Durante la guerra di successione austriaca la strategia francese per la guerra in Italia prevedeva il controllo del bastione alpino, presidiato dall'esercito sabaudo. Una visione strategica confermata 50 anni più tardi dalle invasioni del periodo rivoluzionario e napoleonico: nel 1796 attraverso i passi dell’Appennino ligure (Turchino e Cadibona) e nel 1800 attraverso il Gran San Bernardo. È appunto nell’ottica della difesa dei passi dai francesi che si giunse nel 1872 alla fondazione dei Reparti Alpini: ricordiamo che ben nove delle prime quindici compagnie alpine erano di stanza sul confine francese, tre su quello svizzero e solo tre su quello austroungarico.

Abbiamo visto come francesi e spagnoli avessero già tentato di penetrare in Piemonte nel 1743 e nel 1744. Nel 1745 ritentarono con un esercito di 75.000 uomini, aggirando dalla riviera ligure lo sbarramento alpino. A Bassignana, vicino ad Alessandria, inflissero una dura sconfitta alle truppe sabaude, forti di 45.000 uomini, senza tuttavia riuscire a costringere il Re di Sardegna ad una pace separata. Anzi, gli alleati austro-piemontesi riuscirono entro il 1746 a ricacciarli dal Nord Italia, a conquistare Genova e spingersi sino in Provenza. Tuttavia, la rivolta di Genova del 5 dicembre dello stesso anno (ricordata per l’episodio del giovane Balilla) ed il ritorno offensivo franco-spagnolo nell’anno successivo costrinsero nuovamente gli austro-piemontesi ad una strategia di difesa sulle Alpi. Mentre l'esercito austro-sardo tentava di riconquistare Genova, coadiuvato da una squadra navale inglese, Francia e Spagna mossero ai primi di giugno 1747 in soccorso della città con un'armata divisa in due corpi. Il primo (48 battaglioni), sotto il comando del maresciallo di Belle-Isle e del marchese de La Mina, prese ad avanzare lungo la riviera di ponente, contrastato da 17 battaglioni sardi e 12 austriaci, guidati dal generale sabaudo Wilhelm von Leutrum, il difensore di Cuneo. Il secondo corpo, agli ordini del cavaliere di Belle-Isle, fratello del maresciallo, prese la via delle Alpi. Informato di questi movimenti, Carlo Emanuele III ritirò le sue truppe da Genova, mandandone 2 battaglioni di rinforzo a von Leutrum e 10 in Piemonte. Al che anche gli austriaci e gli inglesi levarono l’assedio ed il blocco navale.

Tra il 14 ed il 15 luglio le truppe del cavaliere di Belle-Isle passarono il Monginevro. Da qui tre strade si aprivano ai francesi per giungere in pianura: la Val Chisone, sbarrata dal forte di Fenestrelle, la valle della Dora Riparia (o di Susa), sbarrata dal forte di Exilles, oppure la strada sullo spartiacque tra le due valli attraverso il colle dell’Assietta, unica via di passaggio non fortificata. L'Assietta è un colle brullo ad oltre 2500 metri d’altitudine, a forma di piatto (cioè, di assietta), il cui controllo consentiva di poter intervenire rapidamente in una valle o nell'altra. Prevedendo che i francesi vi sarebbero transitati, come era già avvenuto per la campagna del 1745, Carlo Emanuele III già da metà giugno aveva ordinato di fortificarla, assieme alla vicina punta del Gran Serin, con opere a secco (ridotte collegate da trinceramenti) e di presidiarlo con 9 battaglioni sardi, agli ordini del tenente generale Cacherano di Bricherasio, ai quali se ne aggiunsero successivamente 4 austriaci comandati dal generale Colloredo. In appoggio all'esercito regolare operavano le milizie valdesi, abituate ad azioni di guerriglia, con il duplice compito di esplorazione e di tenere impegnato il maggior numero di soldati francesi, sottraendoli così alla disponibilità in battaglia aperta.

La posizione difensiva sarda aveva grosso modo la forma di un ipsilon, con un lungo gambo che a metà piegava a sinistra. Il punto chiave dominante l'intero perimetro difensivo era il Gran Serin a quota 2.629; il plateau dell’Assietta costituiva la posizione centrale, compresa tra quota 2.555 e quota 2.551; la testa dell’Assietta a quota 2.566 era la posizione più esposta e la chiave della testa dell’Assietta la più pericolosa. Il piano di Belle-Isle prevedeva un attacco principale contro le posizioni sul Gran Serin e due attacchi secondari: uno contro il fianco sinistro sabaudo lungo il fronte trincerato, ed un altro contro la ridotta della testa dell'Assietta. Data la robustezza delle fortificazioni, il supporto offerto dalle artiglierie sarebbe stato fondamentale; tuttavia, solo nove pezzi da quattro libbre riuscirono a giungere sul campo di battaglia. Sabaudi ed austriaci non avevano artiglieria: il piano di Bricherasio prevedeva di resistere all'attacco nemico al riparo delle fortificazioni del campo trincerato; ritardare il più possibile la conquista dell'Assietta e ritirarsi se necessario verso il Gran Serin.

mappa art 2

La battaglia iniziò il pomeriggio del 19 luglio del 1747. I francesi disponevano di oltre 20.000 uomini in 40 battaglioni, più 8 di riserva, contro i 6.000 austro-sardi in 13 battaglioni, dei quali solo 10 vennero impegnati effettivamente nel combattimento. Verso le 16,30 il Belle-Isle, temendo l'arrivo di rinforzi avversari e avuta notizia che le sue artiglierie da campo non sarebbero arrivate in tempo, dette comunque l'ordine d'attacco, che iniziò con grande vigore in ogni settore. La tattica impiegata dai francesi si dimostrò del tutto fallimentare: le colonne d'assalto, impossibilitate a sviluppare tutta la loro potenza di fuoco, furono falcidiate dal tiro dei difensori. La ridotta della testa dell'Assietta, agli ordini del conte di San Sebastiano, che una tenaglia collegava con le retrostanti posizioni, si dimostrò un ostacolo insormontabile. Si dice che sotto la forte pressione francese Bricherasio ordinasse ben tre volte di ripiegare verso il Gran Serin, ma che San Sebastiano rifiutasse. Lo stesso Belle-Isle, visto che i suoi soldati non riuscivano ad infrangere la resistenza delle truppe sabaude, abbandonò il suo posto di comando e si portò sotto le posizioni della testa dell'Assietta. Seguito dal suo aiutante di campo, che portava una bandiera strappata dalle mani di un alfiere reggimentale, si lanciò all'ennesimo assalto, sperando con questo esempio di trascinare i suoi. L'impresa gli fu fatale.

Anche la colonna di sinistra nel pianoro del colle venne falcidiata dal tiro dei difensori e non ebbe la possibilità di sviluppare un fuoco di ritorsione efficace per aprirsi un varco nelle difese. Solo la colonna contro il Gran Serin fu in grado, grazie alla sommità più ampia della montagna, di far aprire i propri battaglioni per sviluppare il proprio fuoco. Tuttavia, doveva battersi contro alcune delle migliori truppe sabaude protette dalle fortificazioni. Ciò nonostante, il generale Bricherasio interpretò la situazione come un pericolo imminente e decise di rinforzare questa posizione, inviando tutti i battaglioni della riserva di rinforzo. Al Gran Serin i tre battaglioni svizzeri, inquadrati nell’esercito sabaudo, rinforzati di ora in ora dai reparti che stavano convergendo verso la vetta, furono in grado di fermare con la propria potenza di fuoco tutti gli attacchi dei francesi, che si ostinavano a procedere con assalti all’arma bianca. A peggiorare la situazione, gli ufficiali francesi, posti alla testa per guidare gli assalti, furono decimati.

Alle 21.00 i francesi ruppero il contatto ed iniziarono a ritirarsi verso Sestriere inseguiti da piemontesi, austriaci e valdesi. La sproporzione nelle perdite era eclatante: i francesi persero 5.300 soldati, 423 ufficiali, 9 colonnelli, 5 brigadieri e 2 generali, oltre a 600 feriti lasciati nelle mani del nemico; le perdite sarde furono di 185 soldati e 7 ufficiali e quelle austriache di 25 soldati e 2 ufficiali. Come nella seconda battaglia di Casteldelfino, i francesi dimostrarono grande ardimento, un vero furor gallicus, ed in entrambi i casi i loro comandanti furono uccisi; questa volta tuttavia non furono favoriti dalla nebbia e di conseguenza il fuoco d’arresto fu più micidiale. Il 22 luglio un proclama del re Carlo Emanuele III invita i sudditi a ringraziare Dio per aver consentito ai soldati piemontesi di respingere “li nemici che in numero molto superiore erano venuti ad attaccare con gran impeto li nostri trinceramenti del colle della Sieta al di sopra d'Exilles con li avere li medesimi persi sei stendardi, lo stesso generale che li comandava, molti ufficiali di primo grado e da cinque o seimila uomini tra morti e feriti e prigionieri”. Il fallimento nell’aprire una breccia nel bastione alpino costituiva una conferma importante delle nuove tattiche difensive messe a punto dai piemontesi nel biennio 1745-46. Nello stesso tempo sanciva lo scacco delle tattiche francesi basate su assalti alla baionetta in colonna à la Folard (dal nome del teorico militare francese) senza sufficiente fuoco di copertura.

Come nel primo conflitto mondiale, anche i combattimenti di montagna della guerra di successione austriaca ebbero un notevole risvolto mediatico e popolare. Nel primo caso ricordiamo in Italia i tradizionali canti degli Alpini o le famose tavole di Achille Beltrame su La Domenica del Corriere. Oppure, a livello internazionale, gli scritti di autori famosi, volti a far conoscere all’opinione pubblica britannica l’asprezza del conflitto sul fronte italiano, in particolare quello alpino. Su consiglio dell’ambasciatore a Roma, il governo britannico inviò infatti sul fronte italiano Conan Doyle (A visit to three fronts) e Rudyard Kipling (La guerra nelle montagne. Impressioni del fronte italiano). In particolare, i due scrittori furono affascinati dagli alpini, definiti da Kipling "giovani scapestrati, con il carattere tosto, l'aspetto curato e lo sguardo inflessibile".

Anche il conflitto del ‘700 ispirò numerose ballate popolari. Tra queste due sono famose, per lo meno in Piemonte: la prima, la Chanson de l’Assiette [ https://youtu.be/jwRSLepKEPU?si=c2C382qqRFAzG21X ] è una complainte valdese in lingua francese che ironizza sui presuntuosi francesi dal naso puntuto che, volendo mangiarsi l’insalata dal piatto (assietta) dei piemontesi, sono riusciti solo a bruciarsi naso e barba. La seconda [ https://youtu.be/ZKsPrK_TDMY?si=_YkmbXYxXxtVR5G8 ] è dedicata alla morte, avvenuta nel 1755, del barone von Leutrum (Barôn Litrôn), difensore di Cuneo nell’assedio del 1744 e comandante sul fronte ligure nel 1747; ballata che ricorda per alcuni aspetti Il testamento del capitano. Quanto alla mitologia propagandistica, ricorderei due leggende che, come tutte le leggende, suonano dubbie e impossibili da verificare. La prima narra che all’invito, inviato tre volte dal conte di Bricherasio, di ritirarsi dalla testa dell’Assietta verso il Gran Serin, il conte di San Sebastiano avrebbe risposto “Nôjàutri da si bôgiôma nen” (noi da qui non ci muoviamo): Da qui verrebbe il soprannome di “bôgia nen” dato ai soldati piemontesi e poi ai piemontesi in generale. La seconda si rifà al clamore che l’esito della battaglia e la sproporzione nelle perdite fecero negli ambienti militari europei; quando lo raggiunse la notizia, Federico II re di Prussia, impegnato allora contro il Regno di Sardegna, avrebbe esclamato a proposito dei soldati piemontesi: “Se noi disponessimo di un esercito di tale valore, conquisteremmo l’Europa”. Quasi certamente tutta leggenda, ma certo bene architettata. La popolarità della battaglia dell’Assietta è comunque testimoniata dal fatto che il 19 luglio è ufficialmente il giorno della Festa del Piemonte.

Silvio Goglio