Gli Alpini in Eritrea
prima parte
Il Sig. Vito Zita, collaboratore del Museo Nazionale Storico degli Alpini, studioso ed appassionato del periodo coloniale italiano, è autore di un saggio che analizza le vicende principali che hanno caratterizzato l’impiego delle Truppe Alpine nella Campagna d’Eritrea (1895-96), in quella d’Etiopia (1935-36) e durante la Seconda Guerra Mondiale (1940-41) in territorio coloniale.
Il lavoro conduce il lettore lungo i sentieri, i deserti, gli uadi e le ambe percorsi dalle Penne Nere nelle colonie, evidenziando gli sviluppi e l’andamento delle varie Campagne. In particolare, nella Campagna d’Etiopia vengono analizzate in maniera molto dettagliata le azioni compiute dai vari battaglioni alpini impiegati. Il lavoro sarà pubblicato, in varie parti, sul sito.
L’esordio in colonia
Il primo nucleo di alpini destinato in Africa è formato da elementi volontari prelevati dalla 69ª compagnia del Battaglione Gemona, dalla 56ª compagnia del Battaglione Verona e dalla 48ª compagnia del Battaglione Tirano. Il Battaglione di formazione, composto su tre compagnie ed il cui comando è affidato al Maggiore Domenico Cicconi, ha una forza di 5 Ufficiali più un Tenente Medico e 150 graduati e militari di truppa. Parte da Chiari il 19 febbraio 1887 con destinazione Napoli, qui si imbarca per Massaua il 21 febbraio1887. Giunto in colonia, insieme agli altri reparti della spedizione, avrebbe dovuto vendicare il massacro degli esploratori italiani guidati da Gustavo Bianchi. Il Battaglione di formazione partecipa ai più importanti fatti d’arme in Eritrea di quell’epoca: Tokakat, Monkullo, Gherar, Saganeiti e Saati senza subire perdite, ma pur non avendo caduti in combattimento, lasciano sul suolo africano 14 alpini, incluso il proprio comandante Maggiore Cicconi che viene sostituito dal Maggiore Pianavia Vivaldi, vittime del clima e delle malattie tropicali. Nel 1888, mutate le condizioni politiche viene deciso il richiamo in Patria del Corpo di Spedizione e il Battaglione rientra a Milano il 22 aprile 1888. Gli alpini avevano dato una ottima prova ed avevano lasciato una buona fama. La serietà e la modestia del loro contegno, la prestanza della loro persona, la loro disciplina, l’attitudine ad ogni più aspra fatica di montagna ed il loro spirito di corpo elevatissimo, avevano fatto ottima impressione sui comandanti del Corpo di spedizione comandato dal Tenente Generale Asinari di San Marzano e avevano dato, fin da allora, giusta idea della solidità e del loro presumibile valore.
La prima guerra d’Abissinia 1895-96
Il 7 dicembre 1895, il Maggiore Toselli, Comandante di una colonna avanzata, viene attaccato in forze all’Amba Alagi. Le nostre truppe combattono valorosamente, cadono il Comandante e quasi tutti gli Ufficiali, pochissimi furono i superstiti. Le conseguenze della sconfitta dell’Amba Alagi sono gravissime e il nostro prestigio coloniale ne rimane fortemente scosso. Viene così organizzato un Corpo di spedizione del quale farà parte il 1° Battaglione Alpini d’Africa al comando del Tenete Colonnello Davide Menini, promosso per l’occasione, formato da volontari e basato su quattro compagnie fornite da tutti i reggimenti alpini. Gli alpini partono il 20 dicembre 1895 da Napoli sul piroscafo Gottardo e sbarcano il 29 dicembre a Massaua insieme alla 5ª batteria a tiro rapido composta da tre ufficiali e 95 uomini di truppa. Nello specifico il Battaglione contava 18 ufficiali e 590 uomini fra sottufficiali, graduati e truppa ed era composto da uno stato maggiore e da quattro compagnie così formate:
Il Battaglione Alpini d’Africa, forte di 954 uomini, sbarca a Massaua il 29 dicembre del 1895 e si trasferisce in poche tappe sull’altipiano entrando nel forte di Adigrat senza aver lasciato indietro un uomo. Gennaio e febbraio vengono trascorsi nei pressi del forte Arimondi, nella conca tra Adigrat e Edagà-Hamus, poi il Battaglione si sposta verso Adua. Nella notte del 29 muove dai suoi accampamenti di Sauria Zala insieme alle altre truppe della Brigata Ellena e si dirige al colle di Rebbi Arienni, che raggiunge all’alba. Al 1/3/1896 il Battaglione è assegnato al 5° Reggimento comandato dal colonnello Nava e fa parte della truppa di rinforzo alla colonna Arimondi che era minacciata d’accerchiamento. La marcia notturna, benché rischiarata dalla luna, ma resa difficile dal carattere stesso della via percorsa, riuscì pesante, affannosa e interrotta da fermate e da incontri con altre truppe che avevano deviato dalla propria direttrice. Nella tragica giornata del 1° marzo il III Battaglione indigeni e la 2ª batteria a tiro rapido fin dagli inizi del combattimento erano stati impiegati dal Comandante in Capo sulla sinistra della Brigata Arimondi, che è minacciata di aggiramento tanto da avvolgere la stessa Brigata di riserva che si viene a trovare in una situa zione assai critica. Il generale Ellena per porre rimedio alla situazione invia verso un colle ad est del Monte Raio la 3ª e la 4ª compagnia alpini comandate rispettivamente dal Tenente Carlo Cora e dal Capitano Pietro Cella.
Raggiunta la posizione designata sul colle Erarà, nel varco tra le brigate Arimondi e Dabormida, le due compagnie si trovano impegnate, ma tengono ben salda la posizione sotto l’incalzante furia nemica. Il Capitano Cella, calmo e serio, percorre tutta la linea e tiene a bada il nemico per oltre un’ora. Per due ore il Capitano argina la valanga nemica, ma delle compagnie affidate al Capitano non resta che un esiguo plotone di superstiti. Solo Cella per un miracolo è ancora illeso, tiene ancora testa all’avversario incitando i pochi superstiti con la voce e l’esempio. Né in minori difficoltà si trovano le altre due compagnie. Anche esse benché impegnate separatamente l’una dall’altra, hanno avuto un compito ugualmente pericoloso. La 1ª con la quale è rimasto il Comando di Battaglione, viene mandata con il 16° Battaglione di fanteria in rincalzo della Brigata Arimondi, già prossima ad essere distrutta.
Combattendo strenuamente alla testa della compagnia, colpito mortalmente da una palla, cade il Tenente Colonnello Menini cui viene conferita la medaglia d’argento[1]. La 2ª compagnia rimane presso il Comando di Brigata per fare fronte ai nemici che tentano di irrompere alle spalle. Decimato e ormai senza munizioni il Battaglione carica all’arma bianca, ma erano dieci contro mille e sono travolti. Udita la tromba della ritirata il Capitano Cella ordina alla 3ª e 4ª compagnia l’arretramento che avviene lentamente sotto la pressione nemica. Le mischie che si accendono sono numerose e il Capitano Cella, spara e fa sparare le ultime munizioni, viene colpito da una palla e cade di fronte al nemico, con l’arma in pugno.
Degli alpini superstiti della 1ª e 2ª compagnia, unitamente ad militari di altri corpi, molti seguirono il Colonnello Brusati, Comandante il 2° Reggimento fanteria, il quale, con essi, tentò di trattenere il nemico, ma invano. Restarono vivi meno di cento alpini che si dirigono, insieme agli altri scampati al massacro, per vie diverse, o a caso o con la guida di indigeni o per grossolano orientamento verso Adigrat o Adi Ugri o Adi Caieh.L’inseguimento abissino durò circa per 15 chilometri e poi furono sostituiti da contadini ribelli dai quali i superstiti delle varie colonne hanno molto da soffrire[2].
Il capitano Cella, comandante della 4ª compagnia, è decorato di medaglia d’oro al valor militare: è la prima medaglia d’oro del Corpo degli Alpini[3]. Per quella giornata agli Alpini sono concesse altre 20 medaglie d’argento, 33 di bronzo ed 11 encomi solenni: tutti alla memoria.
Grande eroismo lo dimostrarono anche gli Artiglieri da montagna, che cadono piuttosto che abbandonare i pezzi; per quel giorno sono concesse 4 medaglie d’oro e 28 d’argento. Così il 1° Battaglione Alpini d’Africa scrive la più splendida pagina di storia che mai fu dato di scrivere ad alcun reparto militare, come si espresse il critico Colonnello Gazzera sull’Illustrazione Italiana, poche settimane dopo Adua. Le qualità degli alpini, al riaccendersi della guerra del 1895 in colonia, danno affidamento di splendida riuscita. E ciò che gli alpini non hanno potuto dimostrare durante il breve impiego del 1887-88 lo fanno durante questa nuova campagna di guerra confermando tutte le loro buone qualità intraviste otto anni prima.
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[1] Davide Menini (Genova, 1843-Adua, 1º marzo 1896). Già reduce dalla battaglia di Custoza del 1866, Davide Menini entrò nel corpo degli alpini sin dalla sua costituzione. Si imbarcò il 29 dicembre 1895 a bordo della nave “Gottardo” che portò gli alpini del I° Battaglione Alpini d’Africa (parte del Corpo Speciale d’Africa) in terra africana. Già maggiore Menini si trova a reggere le sorti delle quattro compagnie citate nel testo. Il Battaglione si insediò poco dopo per ordine dello stesso Menini presso il forte di Adigrat, a 2473 metri di altitudine. Le truppe di Menini vennero coinvolte poco dopo nella battaglia di Adua (1º marzo 1896) che rappresentò la fase più sanguinosa dei vari episodi bellici coloniali di quegli anni. Durante le operazioni Menini venne promosso tenente colonnello ma morì il giorno stesso della battaglia divenendo celebre per aver rifiutato il soccorso per permettere ai suoi uomini di avanzare spronandoli al grido “Avanti, miei alpini!”. Gli fu conferita la MAVM alla memoria.
[2] Si ringrazia Paolo Canesella per aver fornito la inedita relazione del Maggiore Rinaldo Amatucci sull’attività degli alpini del 5° Reggimento nel 1° periodo della campagna d’Africa del 1895-96 e di Abba Garima.
[3] Pietro Cella nacque a Bardi il 9 marzo 1851. Fu allievo del Collegio Militare di Racconigi, e successivamente si arruolò il 20 febbraio 1872 come semplice soldato volontario a Palermo. Sale passo passo tutta la gerarchia di truppa, per essere ammesso col grado di furiere alla Scuola Militare, dalla quale esce il 31 luglio 1879 col grado di sottotenente, assegnato prima al 37° Reggimento Fanteria, poi al 6° e quindi al 4° reggimento Alpini. Promosso Capitano nell’ aprile del 1888 ritorna al 6° reggimento Alpini, a Verona, dove permane fino al 20 dicembre 1895, quando viene chiamato al comando della 4° Compagnia del Battaglione Alpini d’Africa, ove si tiene pronto agli ordini del maggiore Davide Menini. Gli fu conferita la MOVM alla memoria.